Dott. Primino Claudio Botta Nato a Moncucco di Vernate(MI) il 26/11/1955. Laureato in Medicina e Chirurgia il 07/11/1980 pressso l'Università di Pavia. Convenzionato per la medicina Generale dal 1982 a Vernate (MI) dove esercita tuttora come libero professionista. Specializzato in Geriatria e gerontologia presso l'Università di Modena nel 1985. Assistente dal 1988 presso i reparti di psicogeriatria dell'Istituto "C. Golgi" di Abbiategrasso. Tutor di Medicina Generale presso il Polo Ospedale S.Carlo di Milano. Perfezionato in oncologia Medica presso l'I.E.O. Università di Milano. Consulente Psico-Geriatra in nuclei Alzheimer dal 1990. Psicoterapeuta iscritto all'Ordine dei Medici di Milano. Perfezionato in Neuropsicofarmacologia presso l'Università di Novara. Perfezionato in Psichiatria per Medici di Famiglia presso l'Università di Bari. Docenza in Psicogeriatria presso l'Università di Bari. Perfezionato in Medicina dell'Adolescenza presso l'Università di Ferrara. Collaboratore scientifico delle riviste e Relatore ai numerosi congressi di medicina generale. Professore a contratto presso l'Università di Pavia 2006-2009 in Medicina del Territorio.

Il malato terminale: l'intervento attivo del medico di medicina generale. Seconda fase

Responsabile di progetto Adolfo Carvelli Gruppo di ricerca Claudio Primino Botta; Angelo Sferrazza Papa; Giovanni Bernardo; Emilio Casarini Committente Consiglio Regionale della Lombardia, D.G. Programmazione e Relazioni Esterne Periodo di svolgimento marzo 2000 - febbraio 2001 Dati di pubblicazione IReR - Rapporto di ricerca Abstract.

La presente ricerca è il proseguimento di una prima fase di attività. "Mors certa, hora incerta", oggi sembra all’uomo comune di essere immortale: complici di questa illusione sono la medicina moderna altamente tecnologica che ha prolungato l’aspettativa di vita e la sopravvivenza media, allontanando l’idea della morte e quella familiarità che i popoli del passato avevano con essa.

Il progresso della medicina ha impoverito progressivamente le competenze mediche sul territorio a favore delle strutture ospedaliere, in particolare questo si è verificato per le fasi terminali della malattia, relegando l’assistenza medico-sanitaria del Paziente con aspettative di vita minima all’interno dell’ospedale.
Un tempo, più frequentemente, i pazienti e i loro parenti si affidavano al proprio medico per le cure degli "ultimi mesi", attualmente questa delega totale pur affievolita nella frequenza persiste, variando da medico a medico e da territorio a territorio. Soprattutto è evidente un minor coinvolgimento dei medici di famiglia delle città, rispetto ai colleghi dei piccoli centri.

La cura di questi casi per il Curante non è semplice, poiché il dolore e gli altri sintomi, dall’ascite alla nausea, dagli edemi alla disfagia, dal prurito alle ulcere da decubito, richiedono una presenza e una competenza continua oltrechè un supporto psico-affettivo sia al malato che alla famiglia.
Si assiste al domicilio da una parte una carenza di assistenza intensiva, compensata però da un’atmosfera di grande calore umano e familiare alla quale contribuisce il Curante, visto come "componente" del nucleo familiare. È su queste basi che si è deciso di cimentarsi con un protocollo di studio e di ricerca sul territorio, attraverso i quali arrivare ad un’analisi dettagliata dei problemi e difficoltà legati all’assistenza domiciliare del terminale.

Osserva Philippe Ariès che "anche se la dying trajectory è scrupolosamente osservata, la morte non arriva all’ora prevista (hora certa) senza compromettere la dignità del morente, senza urtare la sensibilità di una famiglia spossata dall’attesa.. la morte è indietreggiata e ha lasciato la casa per l’ospedale.." Questo studio valuta le dying trajectory a domicilio (2000A031).

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